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29 giugno2011
Capitolo 10 di 13
La carovana composta da cinque slitte finalmente si mosse, i cani correvano e ancora abbaiavano eccitati.
L'inizio del percorso era completamente in piano e si svolgeva lungo un sentiero abbastanza largo attorniato da alberi e arbusti.
Ero immerso nella famosa Taiga, un tipo di foresta nordica costituita prevalentemente da pini, abeti e betulle.
Pochi minuti dopo il sentiero si strinse e cominciò a salire un po'.
I cani rallentarono molto, mi ricordai che gli istruttori ci avevano detto che, nel caso in cui gli animali si fossero fermati, i conducenti avrebbero potuto scendere per alleggerire un po' il carico, senza però perdere il contatto fisico con la slitta.
Gli husky però non si fermarono, anche se intanto smisero di abbaiare, per cui non fu necessario scendere dal mezzo che procedeva ancora ad una velocità più simile alla corsa umana che al passo e in più, a causa dei sobbalzi, dei rami degli alberi che invadevano il percorso e delle curve, avevo la mia difficoltà a schivare gli ostacoli con la testa ed assecondare le curve per evitare il ribaltamento del mezzo.
D'un tratto il paesaggio si aprì ed il sentiero tornò ad allargarsi, un lato del percorso era completamente pianeggiante, senza vegetazione e coperto solo di neve inviolata: avevamo raggiunto la riva di un lago ghiacciato e la stavamo percorrendo.
Volli approfittare di quei momenti per estrarre con una mano la macchina fotografica che cercavo di tenere il più possibile al caldo nelle tasche interne della tuta termica.
Non fu come dirlo: dovetti estrarre un guanto e tenerlo con la bocca, appoggiarmi alla slitta col corpo per non perdere l'equilibrio e tentai un paio di foto.
Mostrai disappunto quando mi resi conto che la luce era praticamente andata e che le foto sarebbero risultate mosse anche a causa delle vibrazioni della slitta nonostante stessi frenando.
I 25 gradi sottozero furono il dulcis in fundo di un quadro fotografico impossibile, tant'è che le batterie cedettero quasi istantaneamente.
Ebbi giusto il tempo di scattare ancora due foto improvvisate, più per documentazione che per immortalare un ambiente che gli occhi, i profumi e il suono ovattato registravano con una suggestione particolare.
Gli husky, instancabili, andavano a briglia sciolta e solo in qualche punto dovetti premere il freno per rallentare la loro corsa.
Ricordo ancora che il cane posteriore a destra, ogni volta che frenavo soprattutto nelle discese, si girava verso di me e avevo l'impressione che volesse chiedermi perché lo facessi, quando lasciavo il freno tornava a guardare in avanti e la slitta accelerava in fretta.
Il tempo passava, la luce scendeva ed il freddo incominciava ad essere insopportabile.
Eravamo quasi alla fine dell'ora prevista per la passeggiata e stavamo già ripercorrendo la strada del ritorno quando mi accorsi che attraverso un occhio vedevo tutto offuscato.
Il passamontagna che indossavo lasciava scoperti gli occhi e parte degli zigomi, la velocità del veicolo acuiva il freddo al punto che, man mano si formavano lacrime, queste non cadevano, ma congelavano formando una pallina di ghiaccio saldamente ancorata alla palpebra che limitava la visione.
Gli ultimi minuti furono difficili perché la vista cominciava ad annebbiarsi anche nell'altro occhio e fu un sollievo quando, terminata la gita, potemmo rientrare nella casa degli husky a bere e mangiare qualcosa.
Il ghiaccio sugli occhi si sciolse velocemente e presi atto di avere anche una corta striscia viola a fianco di una narice che indicava un inizio di ustione da freddo, però lo spirito era a livelli altissimi, eravamo consci di aver vissuto un'avventura indimenticabile.
Continua.
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