10 maggio 2012
Spesso una donna non gradisce accompagnare un uomo che decide di curiosare
nei negozi specializzati in prodotti informatici e tecnologici, almeno tanto
quanto un uomo aggregarsi ad una donna per acquistare borsette e vestiti.
Questo è il motivo per cui stavo guidando la mia auto ed ero da solo.
Il riproduttore casuale mp3 della macchina stava suonando un bel brano
molto intenso di Elisa (Distratto) cantato da Francesca Michielin, bella musica
ma con un testo non proprio allegro, quando, sulla mezzeria tratteggiata della
strada che percorrevo, vedo un piccione nel momento in cui sull'altra corsia arriva
una vettura.
Il volatile non è sulla traiettoria e la macchina lo schiva per meno di un
metro.
Lui non si muove, resta impassibile.
Guardo nello specchietto, constato che dietro me non c'è nessuno e così
sono pronto a frenare nel caso in cui volasse dalla mia parte.
[Chi guida una moto sta molto attento prima di compiere queste manovre
perché basta meno di un piccione per ritrovarti per terra!]
Sopraggiungo, lo affianco per un attimo, ma quanto basta per constatare che
non ha un bell'aspetto, pare sofferente e sembra quasi consapevole della fine
imminente.
Guardo ancora lo specchietto e lui è sempre lì immobile.
Mi viene in mente mia nonna quando negli ultimi mesi della sua vita
era rassegnata alla sua sofferenza e non vedeva l'ora di andarsene.
Io, ragazzo sano ed entusiasta, non condividevo quel modo di pensare e
cercavo di spronarla a parole, ma lei resisteva nella sua convinzione.
I ragazzi dovrebbero sempre avere l'opportunità di conoscere i propri nonni
per imparare anche da loro qualche cosa in più del mondo e i nonni
dovrebbero avere la possibilità di interagire con i nipoti per sentirsi utili a
qualcuno nel comunicare le loro esperienze.
Lo dico perché io ho avuto questa opportunità e ho sempre ringraziato il
Cielo per questo.
La rassegnazione che mi sembra avere percepito in quel piccione mi fa anche
riemergere il ricordo di una volta che, per motivi fortunatamente non legati al
mio ambito familiare, entrai in un reparto pediatrico oncologico.
Avvenne una trentina di anni fa e fu un'esperienza contemporaneamente
devastante e costruttiva.
Qui invece non vidi la rassegnazione al proprio destino, ma ammirai la
forza d'animo di questi ragazzini che cercavano la normalità a tutti i costi
reagendo con il gioco, con i libri, con la comunicazione verbale ad una
malattia dura e crudele, dura come le cure che venivano praticate perchè in
quegli anni non erano ancora così raffinate come oggi e causavano pesantissimi
effetti collaterali.
Alcune ragazzine, con un vezzo di femminilità, indossavano un foulard in
testa per limitare il danno estetico provocato dalla calvizie temporanea da
chemioterapia.
Chi lavora attorno o dentro questi ambienti conosce meglio di me questi
argomenti e credo che sarebbe una buona idea frequentare da sani almeno una
volta queste realtà, indipendentemente dall'età che abbiamo; sono convinto che
saremmo tutti più costruttivi e naturalmente si avvantaggerebbero anche gli
ammalati.
A questo punto mi resi conto di essere sprofondato nella tristezza, per cui
schiacciai un pulsante sul volante, il riproduttore mp3 cambiò il brano e la
musica di David Guetta riempì l'automobile.
In quel momento non mi sentii proprio di Titanio, come dice la canzone, ma
la malinconia si attenuò.
Intanto ero arrivato a destinazione, parcheggiai, entrai in un bar del
centro commerciale, grandissimo ma sempre pieno zeppo perché serve del buon
caffè, anche con tutte le varianti immaginabili.
Mentre sorseggiavo la mia bevanda entrò una donna sulla trentina, pur nella
moltitudine ci fu un rapido incrocio di occhi, ma non la conoscevo.
Venne dalla mia parte, era accompagnata da un bel cane di grossa taglia, mi
sovrastava di almeno 15 centimetri (tacchi compresi), i leggeri segni lasciati
da un'acne sulle guance non limitavano la sua bellezza e il suo ampio decolté
mostrava un colore rosso-bruno di chi, uno o due giorni prima, aveva utilizzato
con disinvoltura un lettino abbronzante.
Nel frattempo avevo terminato il mio caffè, diedi un grattino alla testa del
cane, gli sguardi con lei si incrociarono ancora per un attimo e non trattenni
un timido sorriso che fu ricambiato.
La cosa mi fece piacere anche perché constatai che la tristezza se ne era
andata definitivamente ed ero ancora in grado di sorridere ricambiato.
PS.
Il pensiero di quel piccione mi rimase in testa e quando ripresi la mia
auto, dopo aver guardato i negozi di tecnologia, ripercorsi a ritroso la stessa
strada.
Quando raggiunsi il luogo in cui avevo visto l'animale constatai con
piacere che era scomparso, riuscendo almeno per questa volta sfuggire alla
morte.
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