venerdì 5 settembre 2014

Scrittura nemica-amica



16 agosto 2013

# 1 di 2

Questa volta desidero parlare un po' di me, del mio rapporto con la scrittura e del fatto che ogni tanto scrivo qualche post.


Parto da lontano, mi ricordo perfettamente quando andavo a scuola e frequentavo le medie.

Le cose che mi piacevano meno erano lo scrivere e le "ricerche".

Non dipendeva solo dal fatto di essere sempre stato incline verso i numeri e le scienze esatte, ma soprattutto dalla difficoltà di reperire il materiale da elaborare, di assimilarlo e scrivere a modo mio quanto avevo capito in una forma che, forse non proprio elegante, almeno permettesse di comprendere all'interlocutore (il Prof.) il significato di ciò che avevo scritto.

Come se non bastasse, la calligrafia, pessima, non mi dava certo una mano ma almeno riuscivo a leggermi, cosa per alcuni non così scontata :-)

Se eri abbastanza fortunato avevi in casa un'enciclopedia che, negli anni '60, non erano redatte in ordine alfabetico, ma tematico o addirittura casuale e in più erano anche molto costose; qualcuno forse ricorderà "Conoscere" o " Vita Meravigliosa".

Il numero degli argomenti trattati non era così grande e la maggior parte delle volte si rivelavano essere quasi inutili.

E' chiaro che l'aiuto di una persona adulta, quantomeno come fonte diretta di informazione, era praticamente indispensabile.

Nonostante tutto questo le "ricerche" erano una buona palestra per la cultura generale, per l'apprendimento e per l'esposizione scritta e orale.

Alle superiori (inizio anni'70) mi venne in aiuto la possibilità di frequentare le biblioteche dove la lettura in loco dei libri disponibili, solo in qualche caso asportabili, permetteva un approfondimento ben più consistente delle materie.

Alla fine del volume si trovavano le pagine della bibliografia, rimandi che indirizzavano alla consultazione di  altre opere.

Succedeva così che sul tavolo si formassero pigne di volumi con i segnalibri inseriti per non perdere il riferimento che serviva.

Il metodo era comunque complesso perché, non disponendo della possibilità di fare fotocopie, era necessario trascrivere o riassumere gli argomenti d'interesse e la stesura dell'elaborato veniva fatta rigorosamente a mano.

Dapprima si preparava una brutta copia, cioè un insieme di fogli sui quali si scriveva, cancellava con delle righe, riscriveva, si spostava l'ordine delle frasi con la conseguente punteggiatura, in modo da arrivare ad una stesura definitiva, sempre a mano, perfetta e senza correzioni.

Naturalmente questi metodi valevano per tutti, dai grandi scrittori o scienziati del passato fino agli studenti come me in quel periodo.

Per essere più precisi, a quell'epoca esistevano già da molto tempo le macchine per scrivere, ma di solito il loro acquisto ed uso erano relegati ai professionisti della scrittura come giornalisti (Indro Montanelli non si separò mai dalla sua "Olivetti Lettera 22") e scrittori anche se, negli anni '70, la loro diffusione incominciava ad avere una discreta consistenza anche fra gli studenti.

Acquistai anch'io una "Olivetti Lettera 32" per preparare la tesina delle medie superiori e il vantaggio, rispetto alla stesura a mano, era evidente: scrittura omogenea, sicuramente comprensibile, possibilità di piccole correzioni di battitura o di punteggiatura usando il bianchetto; naturalmente se si modificava una frase bisognava riscrivere il foglio daccapo.

Nel 1974, avevo appena compiuto 19 anni, vennero l'esame di maturità ed il Diploma.

A quel punto pensai che l'esposizione scritta non mi avrebbe mai più interessato, sia come professione che, tantomeno, come hobby.

Pochi mesi dopo fui chiamato a svolgere il servizio militare, che in quel periodo era obbligatorio e durava 14 mesi, entrai  come Aviere nell'Aeronautica.

Trascorsi un paio di mesi al Centro Addestramento Reclute di Sora nel Lazio e poi venni spedito all'Aeroporto di Padova dove lavoravo in una segreteria.

Tra le mansioni da svolgere c'erano i preparativi di documenti o la stesura di bozze di lettere per cui la scrittura, appena uscita, era già rientrata fra le mie attività.

Di tanto in tanto ero addetto ai servizi vari e montavo di guardia armata per 24 ore due o tre volte la settimana.

Il tempo libero quindi non era molto, tuttavia capitava di uscire a cena con i commilitoni o girare per Padova che, come adesso, era una bella città monumentale, culturalmente attiva e molto accogliente.

Quando non uscivo mi rifugiavo dentro una piccola biblioteca situata all'interno della caserma.

Passavo del tempo a leggere libri su argomenti che mi interessavano come fotografia, elettronica, fisica, astronomia e, disponendo di tanto in tanto di una macchina per scrivere, prendevo appunti che poi trascrivevo in una forma più elegante per hobby.

Mi accorsi che la scrittura, fatta in quel modo spontaneamente e senza vincoli, non era più quella disciplina pesante che avevo conosciuto ma, almeno in parte e per merito della macchina per scrivere, era diventata un mezzo che contribuiva a riempire un "vuoto culturale e lavorativo" causato dall'obbligo di dover sacrificare 14 mesi della mia vita di ventenne.

Continua.  
  

Nessun commento:

Posta un commento