# 35
Quando ti affacci sul bordo
del Grand Canyon, quello che vedi è un profondo e gigantesco baratro scavato
dal fiume Colorado inserito in una sconfinata, selvaggia e desertica pianura.
Non percepisci alcun suono,
se non raramente quello di qualche specie di uccello che dall’alto scruta il
suolo alla ricerca di possibili prede, oppure quello del vento che arriva alle
orecchie quasi come un’eco.
Questa è la situazione
attuale, apparentemente statica come l’esistenza delle montagne, eppure questa meravigliosa
opera della natura esiste perché hanno contribuito alla sua realizzazione forze
immense, violente ed estreme come glaciazioni, vulcani, movimenti tettonici causati dalla deriva dei continenti,
un punto caldo nel sottosuolo e poi ancora fenomeni meteorologici inusuali e
un’energica erosione del suolo.
Per gli scienziati, studiare
il Grand Canyon è un’occasione per vedere a cielo aperto la storia geologica
del nostro pianeta perché le sue pareti espongono molti strati di sedimenti.
Fra i primi uomini moderni a
rendersene conto ci fu John Powell che, verso il 1870, esplorò con successo il
percorso del fiume all’interno del canyon e definì i suoi pendii come pagine di
un grande libro di storia.
L’origine della pianura dentro
cui è scavato il canyon risale all’età delle rocce più antiche che in alcuni
punti affiorano in superficie ed è stimata in oltre 1 miliardo e mezzo di anni
fa.
Benché non ci sia ancora la
conoscenza completa della geologia di questa area, si ritiene che esistessero
montagne che nel tempo degradarono in territori pressoché pianeggianti a causa
di agenti meteorologici.
Successivamente l’area fu
inondata da un mare poco profondo le cui creature, animali e vegetali, lasciarono
sedimenti organici che stratificarono.
Nei millenni, l’acqua si
ritirò e riallagò il territorio varie volte depositando limo, conchiglie e
gusci che nel tempo si trasformarono in rocce sedimentarie per uno spessore
complessivo valutato tra i 1500 ed i 3000 metri.
In epoca più recente, milioni
di anni fa, tutto l’altopiano del Colorado s’innalzò sino all’altezza attuale.
Fino alla metà del 1900 ci si
chiese quale disturbo geologico avesse potuto determinare questo fenomeno, poi
si scoprì che la teoria della tettonica a zolle era la risposta che mancava.
La leggera pendenza dell’altopiano
causò lo scorrimento di alcuni fiumi, fra cui il Colorado che iniziò l’erosione
del suolo.
La presenza del fiume così
com’è, però non basta a giustificare il modellamento di un canyon profondo fino
a 1600 metri e largo anche 29 chilometri, nonostante alcuni fenomeni naturali
amplifichino l’erosione.
D’estate, in un periodo di
tempo piuttosto limitato e tipicamente nel mese di luglio, un fenomeno
atmosferico, conosciuto col nome di Monsone Nordamericano, convoglia grandi
quantità di aria umida dal golfo del Messico e dalla Bassa California che si
trasformano in pioggia quando incontrano le montagne dello Utah e del Colorado.
Le poche ma intense piogge che
cadono, causano il dilavamento della superficie e determinano un incremento di
erosione a cui contribuisce anche la scarsità di vegetazione, perché
l’altopiano è sostanzialmente un deserto.
Oltre a questi fenomeni
bisogna considerare che, soprattutto in inverno, la temperatura è molto
variabile: di fatto è possibile trovare la neve sul bordo del canyon e
contemporaneamente, alla sua base situata circa un chilometro e mezzo più in
basso, si possono raggiungere anche 30°.
In superficie, quindi,
l’acqua entra nelle fenditure della roccia e gela contribuendo allo
sgretolamento della roccia e quindi ad una maggiore erosione.
Nonostante tutto ciò non si riescono
a giustificare la sua larghezza misurata in alcuni luoghi e la sua profondità.
Studi recenti hanno mostrato
che sull’altopiano sono esistiti laghi di dimensioni enormi e che eruzioni
vulcaniche, oltre alla morfologia del territorio, abbiano favorito la loro genesi
a causa della formazione di sbarramenti naturali.
Quando il fiume riuscì ad
erodere il materiale che fungeva da diga naturale, il bacino a monte si svuotò piuttosto
velocemente causando enormi allagamenti nei territori a valle determinando
un’erosione traumatica consistente, sia in larghezza che in profondità.
Questo fenomeno produsse
anche delle rapide che, man mano il tempo passava, arretravano lungo il letto
del fiume contribuendo a loro volta alla formazione di un’erosione più incisiva
proseguita fino all’arrivo dei giorni nostri.
Ora sono qui, in piedi sul margine
del Grand Canyon del Colorado ad ammirare il risultato di quello che immense
forze della natura hanno compiuto.
Mentre contemplo il
paesaggio, con l’aiuto della mente mi costruisco un film in cui rivedo la
sequenza della genesi del Grand Canyon: le montagne che scompaiono lasciando il
posto al mare che invade il terreno e si ritrae, le forze tettoniche che
sollevano l’altopiano, i laghi, i vulcani, le inondazioni, il fiume con le sue
cateratte che arretrano e l’erosione che causano, il rimodellamento della zona..
Quello che ho davanti agli
occhi in questo momento è la fotografia di uno spettacolare territorio in
costante evoluzione, anzi ciò che vedo è il fotogramma di un film che la capace
regia della natura non ha ancora terminato di girare.
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