venerdì 2 febbraio 2018

Il Grand Canyon del Colorado



# 35

Quando ti affacci sul bordo del Grand Canyon, quello che vedi è un profondo e gigantesco baratro scavato dal fiume Colorado inserito in una sconfinata, selvaggia e desertica pianura.
Non percepisci alcun suono, se non raramente quello di qualche specie di uccello che dall’alto scruta il suolo alla ricerca di possibili prede, oppure quello del vento che arriva alle orecchie quasi come un’eco.
Questa è la situazione attuale, apparentemente statica come l’esistenza delle montagne, eppure questa meravigliosa opera della natura esiste perché hanno contribuito alla sua realizzazione forze immense, violente ed estreme come glaciazioni, vulcani, movimenti  tettonici causati dalla deriva dei continenti, un punto caldo nel sottosuolo e poi ancora fenomeni meteorologici inusuali e un’energica erosione del suolo.
Per gli scienziati, studiare il Grand Canyon è un’occasione per vedere a cielo aperto la storia geologica del nostro pianeta perché le sue pareti espongono molti strati di sedimenti.
Fra i primi uomini moderni a rendersene conto ci fu John Powell che, verso il 1870, esplorò con successo il percorso del fiume all’interno del canyon e definì i suoi pendii come pagine di un grande libro di storia.
L’origine della pianura dentro cui è scavato il canyon risale all’età delle rocce più antiche che in alcuni punti affiorano in superficie ed è stimata in oltre 1 miliardo e mezzo di anni fa.
Benché non ci sia ancora la conoscenza completa della geologia di questa area, si ritiene che esistessero montagne che nel tempo degradarono in territori pressoché pianeggianti a causa di agenti meteorologici.
Successivamente l’area fu inondata da un mare poco profondo le cui creature, animali e vegetali, lasciarono sedimenti organici che stratificarono.
Nei millenni, l’acqua si ritirò e riallagò il territorio varie volte depositando limo, conchiglie e gusci che nel tempo si trasformarono in rocce sedimentarie per uno spessore complessivo valutato tra i 1500 ed i 3000 metri.
In epoca più recente, milioni di anni fa, tutto l’altopiano del Colorado s’innalzò sino all’altezza attuale.
Fino alla metà del 1900 ci si chiese quale disturbo geologico avesse potuto determinare questo fenomeno, poi si scoprì che la teoria della tettonica a zolle era la risposta che mancava.
La leggera pendenza dell’altopiano causò lo scorrimento di alcuni fiumi, fra cui il Colorado che iniziò l’erosione del suolo.
La presenza del fiume così com’è, però non basta a giustificare il modellamento di un canyon profondo fino a 1600 metri e largo anche 29 chilometri, nonostante alcuni fenomeni naturali amplifichino l’erosione.
D’estate, in un periodo di tempo piuttosto limitato e tipicamente nel mese di luglio, un fenomeno atmosferico, conosciuto col nome di Monsone Nordamericano, convoglia grandi quantità di aria umida dal golfo del Messico e dalla Bassa California che si trasformano in pioggia quando incontrano le montagne dello Utah e del Colorado.
Le poche ma intense piogge che cadono, causano il dilavamento della superficie e determinano un incremento di erosione a cui contribuisce anche la scarsità di vegetazione, perché l’altopiano è sostanzialmente un deserto.
Oltre a questi fenomeni bisogna considerare che, soprattutto in inverno, la temperatura è molto variabile: di fatto è possibile trovare la neve sul bordo del canyon e contemporaneamente, alla sua base situata circa un chilometro e mezzo più in basso, si possono raggiungere anche 30°.
In superficie, quindi, l’acqua entra nelle fenditure della roccia e gela contribuendo allo sgretolamento della roccia e quindi ad una maggiore erosione.
Nonostante tutto ciò non si riescono a giustificare la sua larghezza misurata in alcuni luoghi e la sua profondità.
Studi recenti hanno mostrato che sull’altopiano sono esistiti laghi di dimensioni enormi e che eruzioni vulcaniche, oltre alla morfologia del territorio, abbiano favorito la loro genesi a causa della formazione di sbarramenti naturali.
Quando il fiume riuscì ad erodere il materiale che fungeva da diga naturale, il bacino a monte si svuotò piuttosto velocemente causando enormi allagamenti nei territori a valle determinando un’erosione traumatica consistente, sia in larghezza che in profondità.
Questo fenomeno produsse anche delle rapide che, man mano il tempo passava, arretravano lungo il letto del fiume contribuendo a loro volta alla formazione di un’erosione più incisiva proseguita fino all’arrivo dei giorni nostri.
Ora sono qui, in piedi sul margine del Grand Canyon del Colorado ad ammirare il risultato di quello che immense forze della natura hanno compiuto.
Mentre contemplo il paesaggio, con l’aiuto della mente mi costruisco un film in cui rivedo la sequenza della genesi del Grand Canyon: le montagne che scompaiono lasciando il posto al mare che invade il terreno e si ritrae, le forze tettoniche che sollevano l’altopiano, i laghi, i vulcani, le inondazioni, il fiume con le sue cateratte che arretrano e l’erosione che causano, il rimodellamento della zona..
Quello che ho davanti agli occhi in questo momento è la fotografia di uno spettacolare territorio in costante evoluzione, anzi ciò che vedo è il fotogramma di un film che la capace regia della natura non ha ancora terminato di girare.






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