mercoledì 30 dicembre 2015

Barstow




# 20

Ormai si era fatta l’ora di pranzo e una sosta, anche per distendere un po’ le gambe, fu necessaria. Così per prima cosa riempimmo il serbatoio dell’auto, casomai il distributore avesse chiuso per una pausa e poi scendemmo per andare a mangiare qualcosa.

A proposito della priorità benzina-cibo piuttosto che viceversa, mi tornò in mente un’altra situazione che avevo vissuto anni prima, percorrendo una strada poco trafficata della Florida, quando incontrai una minuscola stazione di rifornimento in mezzo al nulla, la cui insegna evidenziava “Gas & Food”, ovvero rifornimento e cibo.
Questa cosa mi aveva divertito perché avevo pensato che nell’insegna fosse contenuto un messaggio che cercasse di umanizzare la propria auto, nel senso che, tanto gli umani avevano bisogno di acqua e cibo, quanto le loro auto di benzina, tipico di uno stile di vita trascorso “On the Road”, praticamente in simbiosi con il proprio veicolo.
“Chissà” pensai “forse è un vecchio retaggio di quando gli spostamenti sulle strade polverose si facevano a cavallo ed il rifocillare gli animali era probabilmente persino più importante delle priorità umane.”
Il fatto stesso che proprio in quel momento questo pensiero mi attraversò la mente, significava che la logica benzina-cibo e non il contrario, non era poi così astrusa: del resto, alla peggio, noi avremmo potuto tirare sera senza mangiare, ma l’auto non ci avrebbe mai condotti a destinazione senza benzina.

Bastò aprire lo sportello della vettura per essere aggrediti dal caldo e constatare la differenza di clima rispetto all’interno ben condizionato del veicolo.
Il sole delle 13, alto nel cielo, infuocava l’asfalto, ma non m’impedì di impugnare la macchina fotografica per scattare qualche foto.
Certamente non era la prima volta che vedevamo un Mc Donald’s, ma questo era proprio originale e ben contestualizzato.
La vecchia torre della stazione ferroviaria, il contenitore dell’acqua che una volta si usava per riempire le caldaie delle locomotive e persino alcune carrozze ferroviarie erano state trasformate in siti Mc Donald’s.
L’idea forse appariva un po’ kitsch e anche irriguardosa nei confronti della storia di Barstow, però riuscì a farci sorridere; del resto la capitale del kitsch e di molto altro (Las Vegas) non era lontanissima e chissà, forse queste erano proprio le prime avanguardie.
Entrammo nel centro commerciale che era attrezzatissimo, al suo interno non mancavano i negozi di ristorazione asiatica, americana e sudamericana.
Gente ovunque e tanta, ci chiedemmo da dove venissero tutte queste persone, ma poi considerammo che, oltre ad essere l’ora di pranzo, all’esterno erano parcheggiati parecchie auto e pullman e che Barstow, come avevamo immaginato, era una tappa pressoché obbligatoria.
La cittadina è quasi equidistante da Los Angeles e da Las Vegas e poi l’Interstate 15 è l’unica strada che unisce le due città.
Terminato il pranzo ripresi il volante, ma ci volle un po’ di tempo prima che l’interno dell’abitacolo tornasse ad una temperatura confortevole, tuttavia quel po’ di preoccupazione che avevamo prima della sosta si era sciolto ed eravamo pronti a percorrere la traccia d’asfalto che da qui in avanti sembrava essere ingoiata dal deserto.
Presto incontrammo un cartello che indicava la prossima uscita come l’ingresso alla riserva nazionale del deserto del Mojave; pensai che ci volessero un coraggio pazzesco e una preparazione fisica e mentale non indifferenti per abbandonare l’autostrada e addentrarsi nel deserto.
Questo pensiero mi fu indirettamente confermato quando poco più avanti, lungo il percorso, vedemmo dei cartelli che invitavano gli eventuali automobilisti che si fossero trovati in “panne“ a non abbandonare l’autostrada per recarsi a cercare aiuto, ma di attendere i soccorsi sul posto perché in caso contrario, tra animali velenosi e rischio di disidratazione, si sarebbero corsi pericoli maggiori che non stando fermi sul ciglio della strada ad aspettare.
Nonostante nel frattempo avessimo recuperato l’ottimismo, capimmo che le nostre perplessità iniziali non erano poi così infondate.
Intanto si procedeva.











venerdì 11 dicembre 2015

Da Hollywood a Las Vegas


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# 19

Dopo aver trascorso qualche giorno a Hollywood ed aver visitato un po’ i dintorni era giunto il momento di cambiare aria, nel senso letterale del termine: da un’aria oceanica, mite anche in piena estate, ad un clima desertico.
Risentivamo della stanchezza di ieri, giornata trascorsa a Disneyland, ma il pensiero della nuova meta da raggiungere, il Nevada e precisamente Las Vegas, ci galvanizzava.
Come tutti ne avevamo sentito parlare più volte: chi ne parlava bene, chi male, però nessuno aveva mai mostrato indifferenza.
Un conoscente che l’aveva visitata pochi anni prima mi aveva profetizzato:” Ti potrà piacere oppure no, ma è uno di quei posti che, almeno una volta nella vita, vanno visti.”
Avevamo noleggiato la macchina apposta per muoverci e non sarebbero stati certamente i 450 chilometri che separano Hollywood da Las Vegas a fermarci.
Per dirla tutta un minimo di perplessità c’era.
Da una parte l’idea di una meta e un’esperienza nuova, dall’altra la consapevolezza che, anche se per mezzo di un’autostrada, avremmo dovuto attraversare il deserto del Mojave auspicando di non incontrare difficoltà durante il tragitto.
Ci avevano suggerito di avere con noi il pieno di benzina e acqua potabile, non tanto da bere durante il viaggio, quanto per sicurezza nel caso in cui avessimo avuto problemi con la vettura.
Quest’ultima era anche la mia principale preoccupazione non solo per un eventuale ritardo sulla tabella di marcia, ma anche perché ci sarebbero volute molte ore per ricevere i soccorsi restando sotto un sole particolarmente caldo.
Sapevamo che a metà strada avremmo incontrato una cittadina, Barstow, ultima località prima attraversare il nulla su un nastro di asfalto.
Così partimmo e neppure troppo di buon mattino.
Ormai ci eravamo abituati ad una densità di popolazione molto alta, autostrade che attraversavano Los Angeles in lungo e in largo, fino a 10 corsie per carreggiata (comprese quelle di accelerazione), gente ovunque, traffico intenso ma quasi sempre scorrevole e da lì a poco saremmo piombati nel nulla prima di riemergere in una nuova grande città.


Ricordo che man mano percorrevamo i chilometri, si vedeva che attorno all’autostrada le costruzioni diminuivano e l’insegna della Interstate 15 diventava sempre più la nostra bussola.
Il primo assaggio del deserto avvenne poche decine di chilometri prima di Barstow: la sensazione fu quella di chiederci se il percorso fosse esatto, davanti a noi solo l’autostrada e attorno nessuna costruzione.
Finalmente arrivammo a Barstow, una città di 20.000 abitanti le cui origini affondano sia nella disputa del territorio con alcune tribù indiane (fra cui proprio i  Mojave), sia nella ricca storia mineraria del deserto del Mojave dopo che avvenne la scoperta di oro e argento nelle montagne e nelle vallate lì intorno.
Proprio a causa del continuo movimento di minatori e merci, alla fine dell’800 Southern Pacific e Santa Fe Railroad realizzarono dei tracciati ferroviari per collegare la cittadina con il resto del mondo.
La Route 66, già incontrata a Santa Monica e che transita anche per Barstow, doveva essere ancora costruita.
Tornando al nostro viaggio fu veramente un sollievo leggere sulle indicazioni di uscita dell’autostrada la pubblicità di un centro commerciale con la relativa presenza di un  Mc Donald’s e Starbucks.
Ci prendemmo una pausa, metà viaggio era andato.



lunedì 23 novembre 2015

…E infine


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# 27

E' arrivato il giorno del rientro ad Edimburgo.
Da Drumnadrochit, costeggiando per l'ultima volta il Loch Ness, andiamo a nord e raggiungiamo Inverness, che significa "foce del fiume Ness"; nei giorni scorsi non avevamo avuto modo di fermarci in questa città e così lo facciamo ora.
Con un po' di fortuna la giornata è più luminosa del solito e questo ci permette di scendere dall'auto in zona centrale per passeggiare sulle sponde del fiume Ness alla ricerca di qualche peculiarità locale.
Non so se sono condizionato dalla conoscenza che Inverness sia considerata tra le prime città più vivibili e felici della Gran Bretagna, tuttavia la prima impressione che colgo è la vista di gente che mi sembra dinamica e rilassata allo stesso tempo.
Certo la bellezza delle sponde del fiume contribuisce a rendere l'insieme più attraente e ne abbiamo ulteriore prova quando raggiungiamo e attraversiamo il ponte pedonale "Greig St. Bridge".
Da qui, buona parte della città prende corpo, le sponde dalle quali i pescatori a volte pescano i salmoni, le chiese e il fiume stesso.
Continuiamo sull'altra sponda fino a trovarci di fronte al Castello; è quello che Shakespeare inserì nella sua tragedia "Macbeth".












Esauriamo un po' superficialmente la visita e riprendiamo l'auto verso la A9 in direzione Edimburgo.
Belle foreste e gli ultimi paesaggi delle Highlands ci accompagnano quasi fino a destinazione, infine raggiungiamo l'Aeroporto di Edimburgo dove, dopo 5 giorni, registriamo di avere percorso più di 1700 km con la FIAT 500 "giallina".
Riconsegniamo il mezzo che ci era diventato ormai familiare e di colpo siamo appiedati.
Il buon vecchio bus, l'"airlink n° 100 Express", sembra che sia lì all'aeroporto di Edimburgo ad aspettarci.
Ormai ci sentiamo "di casa" e poco dopo siamo già a bordo; qualche fermata durante il tragitto e poi la nostra, bagagli in mano, alcune centinaia di metri e finalmente in albergo.
Sembra passata un'eternità da quando abbiamo alloggiato qui alcuni giorni fa e incominciavamo a prendere confidenza con Edimburgo e le sue caratteristiche; ora siamo tornati dove questa avventura è incominciata.
Una sistemazione frettolosa in camera, un'occhiata al menù che ci ricorda la pantagruelica colazione che faremo l'indomani e, poiché c'è ancora tempo, spendiamo le ultime ore rimaste per una nuova visita fuori programma al Royal Mile, al Castello, prima di un saluto ed una cena dal ristoratore che avevamo conosciuto.
Nonostante la stanchezza accumulata, l'adrenalina è ancora a mille e questo ci permette di smaltire la cena, almeno in parte, facendo ancora una passeggiata per la città sfruttando  la luce del giorno che qui, a queste latitudini, nel mese di giugno si protrae fino alle 22.30 circa.



Un'altra giornata intensa è terminata nel migliore dei modi.
Ora è nuovamente mattino, abbiamo un po' di tempo per assaporare la versatile ed abbondante colazione inglese: salsiccia, funghi, pomodoro e bacon, (come parte salata e cucinata) nonché marmellata d'arancia, pane tostato, latte e tanto caffè ci stanno aspettando prima di procedere alle operazioni del check-out dall'albergo e del trasporto verso l'aeroporto da dove, con un doppio balzo, due aeroplani ci condurranno prima ad Amsterdam e poi a Milano.
Più tardi siamo ancora in aeroporto mentre ripercorriamo mentalmente la nostra avventura.
Un bottino gigantesco di esperienza, di cultura, di gusti, di suoni e musica, di conoscenza, di immagini, di fotografie e filmati.
Portiamo a casa una suggestione enorme di ciò che abbiamo visto in questa terra veramente fantastica che è la Scozia, ma anche la consapevolezza di quanto ci sarebbe stato ancora da visitare e da conoscere.
Siamo convinti che qui ritorneremo, quando non si sa, ma i luoghi da visitare e possibilmente da vivere almeno un po', sembrano ancora più numerosi di quando siamo partiti.
Ora che abbiamo rotto il ghiaccio sembra tutto più facile, l'esperienza acquisita servirà da base per un futuro e nuovo entusiasmante viaggio.

Fine.

  

lunedì 2 novembre 2015

Milano EXPO 2015



… e così Milano EXPO 2015 si è conclusa.

Come noto il tema principale e riassuntivo di questa esposizione universale era “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.

Parlare in questo blog di numeri, bilanci, oppure argomentare temi come la fame nel mondo, cibi alternativi, uso dell’acqua, diritti alla nutrizione, sostenibilità dello sfruttamento del suolo, biotecnologie, Organismi Geneticamente Modificati  etc. sarebbe impossibile, visto che professionisti competenti per i propri ruoli e giornalisti hanno scritto milioni di pagine in tutto il mondo su queste tematiche.

Mi limito quindi a raccontare qualche impressione personale su questo argomento basata sull’esperienza acquisita.

Nel 2008, a cavallo tra i governi Prodi e Berlusconi, entrambi favorevoli all’assegnazione di EXPO 2015 alla città di Milano, insieme al presidente della regione Lombardia Formigoni e al sindaco  Moratti, fu aggiudicato a Milano questo impegno.

Ricordo proprio in quel periodo le prime indagini conoscitive per appurare l’esistenza dei servizi presenti nell’area assegnata alla costruzione di EXPO, utili come base di partenza per realizzare tutte le infrastrutture urbane (acqua, rete idrica e fognaria, rete stradale…) ed i servizi necessari (rete telefonica, fibre ottiche, energia elettrica, logistica…)

Da lì in avanti il cantiere EXPO si mise lentamente in moto pur contrastato da mille problemi quotidiani, da qualche disagio sopportato dalla città e da coloro che non gradivano la realizzazione di questo progetto.

In ogni caso il 1° maggio di quest’anno si aprì il semestre dedicato all’esposizione.

Che sia stato un successo lo dicono semplicemente gli oltre 21 milioni di biglietti venduti.

Credo che molti, fra coloro che stanno leggendo questa pagina, avranno visitato EXPO 2015 e quindi potranno confrontare il proprio vissuto con le impressioni che ho percepito come visitatore.

Entrare in EXPO per me è stato un po’ come viaggiare fra le varie Nazioni, un viaggio virtuale intorno al mondo, naturalmente non come esserci andato di persona, ma sicuramente in modo più approfondito di quanto si possa capitalizzare leggendo libri o guardando la televisione.

Le code mi hanno scoraggiato nella visita di molti padiglioni ritenuti pregiati, lasciandomi però il tempo di entrare nei siti di nazioni che successivamente ho dovuto cercare sul mappamondo; eppure anche queste mi hanno fatto provare emozioni, fiutare profumi o semplicemente vedere i loro oggetti di artigianato, vestiti o foto e filmati di quegli ambienti.

Passeggiando fra il Cardo ed il Decumano ho visto migliaia di persone di ogni provenienza accomunate dal desiderio e dalla curiosità di scoprire qualcosa di più, non solo su cibo, ma anche sugli usi e costumi di ciascuna Nazione.

Famiglie intere, gruppi di studenti di ogni età, persone singole, disabili in sedia a rotelle, tutti percorrevano avanti e indietro il chilometro e mezzo del Decumano.

Ho visto anche coppie alle quali forse non interessava nulla dei padiglioni espositivi, ma erano lì in un ambiente di portata mondiale che fra qualche tempo entrerà nella storia e semplicemente potranno dire: “quella volta ad EXPO 2015 c’eravamo anche noi e camminavamo mano nella mano”.

Ho visto centinaia di telefonini e tablet sollevati e illuminati mentre riprendevano la rappresentazione dell’Albero della Vita a Lake Arena: di sera erano uno spettacolo anche loro stessi, tutti così orientati a catturare le immagini luminose della performance.

La domanda classica che ti viene rivolta dopo la visita è: “Quale padiglione ti è piaciuto di più?”

La risposta è difficile, tuttavia mi ha molto emozionato il padiglione del Nepal con il suo clima di serenità, di pace e raccoglimento.

Ricordo che alcuni fra i suoi realizzatori dovettero rientrare a casa poco prima del termine dei lavori e dell’apertura di EXPO a causa del sisma catastrofico che capitò in Nepal alla fine di Aprile.

Lo stand che rappresenta la catena dell’Himalaya non era ancora finito e operai bresciani contribuirono in una gara di solidarietà con il proprio lavoro affinchè la Pagoda coi suoi intagli e tutto l’insieme fossero pronti il più presto possibile.

Questa esposizione ha contribuito a rilanciare l’immagine di Milano e dell’Italia nel mondo.

Milano, anche per questa occasione, è stata perfezionata con la realizzazione di opere come la riqualificazione dell’area del Portello e CityLife, o del nuovo Centro Direzionale situato fra l’Isola e le ex Varesine, sede di molti grattacieli che vede in piazza Gae Aulenti l’essenza architettonica e sociale di questo rinnovo.

EXPO ha incentivato anche la realizzazione della linea Metropolitana 5, la Lilla, fiore all’occhiello funzionale, automatico (e aggiungerei elegante) di un sistema di trasporti cittadino che ha condotto milioni di persone in visita all’EXPO e per la città.

La fine di questo evento è allo stesso tempo un nuovo punto di partenza: lo scambio di idee e di informazioni avvenute in questi mesi hanno permesso di redigere la Carta di Milano, un insieme di intenti, base per la nuova sfida mondiale, estremamente ambiziosa, che non riguarda semplicemente la quantità di cibo prodotto nel mondo e la distribuzione, ma anche la qualità, la sostenibilità ambientale e molto altro.

Come ultima nota personale devo dire che se con la chiusura dell’Esposizione molte cose concrete rimarranno, altre mi mancheranno un po’ come lo sciamare dei tanti turisti giunti per l’occasione, ma soprattutto la vista dell’Albero della Vita con le sue luci colorate in movimento che lo vitalizzavano sulle note di “Tree Of Life”, di Roberto Cacciapaglia, colonna sonora dello spettacolo che potevo ascoltare e vedere, almeno in parte di sera e soprattutto in estate seppur in lontananza, quando mi affacciavo alle finestre aperte di casa mia.




Tree Of Life




















lunedì 26 ottobre 2015

Il Canale di Caledonia - 2



# 26

Oggi, come penultimo giorno di vacanza in Scozia abbiamo deciso di vedere qualcosa del Canale di Caledonia e per questa ragione facciamo una sosta a Fort Augustus.
La cittadina si trova all’estremo sud del Loch Ness e il transito su un ponte ci fa capire che stiamo attraversando questa grande opera.
Raggiungiamo a piedi le sponde del canale che sono strutturate per un facile percorso turistico costituito da scalinate che affiancano il sistema di cinque chiuse necessario per colmare il dislivello di 16 metri tra il Loch Oich e il Loch Ness.
Su un lato vediamo un accenno di arte topiaria: un’intelaiatura di metallo, bruttina perché in attesa che gli arbusti la ricoprano, ma simpatica, che rappresenta Nessie con un improbabile cucciolo.  


Ci chiediamo, sorridendo, se qualche volta Nessie non sia rimasto incastrato fra una chiusa e l’altra, ma sicuramente, se fosse esistito, non avrebbe potuto abbandonare il Loch Ness attraverso il Canale di Caledonia in modo inosservato perché troppo sorvegliato.
Infatti, mentre percorriamo la scalinata che costeggia le chiuse, vediamo un’imbarcazione privata che deve salire dal Loch Ness al Loch Oich e questo mi dà la possibilità di riscontrare il funzionamento del Canale.
Il principio in sé è semplice perché basato sui vasi comunicanti, ma il passaggio dalla teoria alla pratica evidenzia tutto il fascino del concetto.
La barca ha alle spalle una diga chiusa, una persona, addetta alla gestione della procedura, apre un cancello subacqueo che scarica a valle, neanche troppo lentamente, l’acqua della diga a monte.
In questo modo il livello dell’acqua sulla quale galleggia la barca si alza e contemporaneamente si abbassa quello nel bacino successivo.
Una volta raggiunto lo stesso livello viene aperta la diga e la barca viene trainata oltre lo sbarramento che, successivamente, viene chiuso e il procedimento continua.
Detto così sembra anche facile, in realtà, però, un’equipe di addetti lavora in sincrono per mantenere il livello dell’acqua di ogni sezione del sistema di chiuse ad un livello ottimale, affinchè l’imbarcazione possa salire o scendere a seconda dei casi.
Sicuramente la gestione operativa del sistema idrico è tutt’altro che scontata e ci vuole l’adeguata conoscenza ed una buona esperienza per gestire il flusso dell’acqua, considerato che l’operazione si svolge in circa 10 – 15 minuti per ogni passaggio.
E’ per me una buona occasione per documentare fotograficamente la procedura e mettere in risalto alcuni dettagli che diversamente andrebbero perduti.       










Successivamente raggiungiamo l’estremità più a monte del sistema di chiuse e da qui, con un teleobiettivo, è facile mettere in evidenza il dislivello tra i corsi d’acqua.              


Poi scendiamo e, prima di andarcene da Fort Augustus, vediamo un piccolo imbarcadero dove un battello turistico, con tanto di logo dedicato a Nessie, aspetta i turisti per imbarcarli alla volta di una crociera sul lago con lo scopo di una gita e forse anche con l’aspettativa di un qualche incontro ravvicinato col mostro, ma noi riprendiamo l’auto e ci spingiamo più a sud.              


Dedichiamo il tempo che ci rimane ad una visita di passaggio a qualcosa che potrebbe essere argomento di un eventuale viaggio successivo.
La strada ci conduce al Commando Memorial Monument, un’area con sculture in bronzo dedicate ai Commando inglesi della 2° guerra mondiale.
Questo posto è anche un buon punto di vista verso il Ben Nevis, (il monte più alto della Gran Bretagna) peccato però che le nuvole ne offuschino la cima.    




Dato che si trova nelle vicinanze decidiamo di raggiungerlo, ma al nostro arrivo la speranza di vedere anche la sua vetta viene delusa.
Un grande piazzale può accogliere tantissime auto in sosta e infatti arriviamo proprio dove partono gli impianti di risalita, ora chiusi, perché il Ben Nevis è anche una località turistica sciistica.
Continuiamo verso Fort William, la città terminale sud del Canale di Caledonia che si affaccia sull’oceano Atlantico.
Sappiamo che anche qui c’è un famoso sistema di chiuse che non cerchiamo perchè la città meriterebbe una visita più approfondita.
Ora però privilegiamo la strada che costeggia il Loch Linnhe, che è un fiordo dell’oceano stesso, sfioriamo Glencoe, ma poi dobbiamo tornare indietro convinti che ci vorrebbe almeno un’altra vacanza per continuare la visita della Scozia.
Un paio di ore più tardi siamo a Drumnadrochit dove ceniamo per l’ultima volta nel pub ristorante: domani ripartiremo per Edimburgo.