venerdì 23 febbraio 2018

Guano Point



# 36

Siamo davvero contenti di avere potuto assaporare questo scorcio sul Grand Canyon e un po’ a malincuore riprendiamo il pullman che ci condurrà in un altro luogo.
L’autista percorre una strada asfaltata lunga non più di un paio di chilometri e durante il tragitto percepiamo dai finestrini che il canyon è sempre più vicino da entrambi i lati.
In breve tempo arriviamo a destinazione in un luogo che si chiama Guano Point.
Sorrido all’idea del perché il luogo si possa chiamare così, ma non ne ho la certezza.
La acquisiamo successivamente quando una targa descrive la storia.
Negli anni ’30 un uomo, che percorreva il Canyon con la propria barca, individuò una grotta che successivamente si scoprì essere ricca di guano di pipistrello.
Questo materiale era molto ricco di composti azotati e, verso la fine degli anni ’50, si pensò di estrarlo e usarlo come fertilizzante.
Venne costruita una teleferica che da questo luogo scendeva fino alla grotta attraversando il canyon, con il duplice scopo di trasportare il materiale e gli operai addetti allo scavo.
L’estrazione di guano non durò a lungo perché ci si accorse che era stata sovrastimata di molto la quantità di materiale disponibile e i costi dell’attività, sommati alle spese di trasporto, non erano soddisfacenti.
Agli inizi degli anni ’60 venne chiusa e dopo alcuni mesi un aereo militare che volava a bassa quota nel canyon colpì e tranciò il cavo della teleferica.
La fune non fu più sostituita e venne abbandonata la stazione di testa della teleferica che oggi i turisti che visitano Guano Point possono ancora vedere.
Ora che abbiamo letto la targa, però non vediamo l’ora di visitare il luogo e così c’incamminiamo per un sentiero pianeggiante rossastro che via via si stringe fino ad una decina di metri circa.
Ciò che lo caratterizza è il fatto di non avere protezione agli estremi laterali che lo limitano dalle pareti a strapiombo del canyon.
Non è pericoloso, a patto di stare nel tracciato e poco più avanti il sentiero s’inerpica su una piccola altura di una trentina di metri a forma conica.
Visto che non mi sembra rischioso, decido di salire immaginando che sulla cima ci sarà uno spettacolo superbo.
L’entusiasmo mi fa aumentare l’andatura e, quando raggiungo la sommità, una quantità di emozioni mi aggroviglia il cuore che già batte in modo accelerato per lo sforzo.
La vetta è costituita da un piccolo insieme di rocce sulle quali giro su me stesso a 360 gradi per ammirare tutto attorno.
Vedo il percorso appena compiuto, il luogo dove siamo scesi dal pullman, lo strapiombo attorno al sentiero e soprattutto vedo il Gran Canyon del Colorado in lunghezza e in profondità.
Se poco fa, a Eagle Point, eravamo rimasti meravigliati dalla veduta, qui a Guano Point facciamo fatica a capacitarci del panorama immenso che questo luogo ci offre.
Penso che sia una delle meraviglie più spettacolari della natura.
Ti senti piccolo di fronte al mondo, proprio come quando, dopo molta fatica, raggiungi la cima di una montagna e ti guardi attorno.
Lo spazio immenso che ti circonda ed il suono del silenzio ti stordiscono ma, almeno in parte, riesci a capacitarti di quanto sia esteso il creato.
Forse anche gli astronauti quando guardano fuori dagli oblò della loro navicella provano la stessa sensazione, probabilmente ancora più intensamente, ma ciò che ammiro ora da qui è qualcosa che ti entra nello spirito e sono sicuro che non lo dimenticherò mai.
Dopo alcune riflessioni mi giro tutt’attorno e comincio a scattare fotografie.
Poco sotto questa cima, sul lato opposto del sentiero che ho percorso e proprio a ridosso del fiume Colorado che scorre circa 1200 metri più in basso, vedo i resti della teleferica, anch’essa meta delle curiosità dei turisti.
Vorrei fermarmi qui, stare seduto per delle ore per sentirmi parte integrante di questo ambiente, ma la mia esperienza deve proseguire e, sebbene un po’ controvoglia, scendo da questo luogo per tornare dove il bus verrà a prenderci.
Ripercorriamo la strada fino ad Eagle Point dove, sotto una tensostruttura, un gruppo di nativi Hualapai vestiti con i loro migliori abiti tradizionali esegue delle danze folcloristiche.
Non nego che i balli e l’abbigliamento indossato siano originali, piacevoli e accattivanti, ma rispetto alle bellezze della natura ammirate fino a poco fa, tutto questo sembra fatto ad arte per cercare di ammagliare ulteriormente i turisti; insomma qui è il fiume Colorado con il suo Canyon che la fanno da padroni e tutto il resto è almeno di due ordini di grandezza inferiore.
Il tempo passa e un altro pullman ci conduce nei dintorni del parcheggio per l’auto.
Sono le 15.30, non è molto tardi anche se dobbiamo percorrere 250 km per rientrare.
Il Grand Canyon ci ha conquistati, ci sarebbe un’altra bella esperienza da fare, siamo dubbiosi e poi decidiamo: oggi si va alla grande…
























venerdì 2 febbraio 2018

Il Grand Canyon del Colorado



# 35

Quando ti affacci sul bordo del Grand Canyon, quello che vedi è un profondo e gigantesco baratro scavato dal fiume Colorado inserito in una sconfinata, selvaggia e desertica pianura.
Non percepisci alcun suono, se non raramente quello di qualche specie di uccello che dall’alto scruta il suolo alla ricerca di possibili prede, oppure quello del vento che arriva alle orecchie quasi come un’eco.
Questa è la situazione attuale, apparentemente statica come l’esistenza delle montagne, eppure questa meravigliosa opera della natura esiste perché hanno contribuito alla sua realizzazione forze immense, violente ed estreme come glaciazioni, vulcani, movimenti  tettonici causati dalla deriva dei continenti, un punto caldo nel sottosuolo e poi ancora fenomeni meteorologici inusuali e un’energica erosione del suolo.
Per gli scienziati, studiare il Grand Canyon è un’occasione per vedere a cielo aperto la storia geologica del nostro pianeta perché le sue pareti espongono molti strati di sedimenti.
Fra i primi uomini moderni a rendersene conto ci fu John Powell che, verso il 1870, esplorò con successo il percorso del fiume all’interno del canyon e definì i suoi pendii come pagine di un grande libro di storia.
L’origine della pianura dentro cui è scavato il canyon risale all’età delle rocce più antiche che in alcuni punti affiorano in superficie ed è stimata in oltre 1 miliardo e mezzo di anni fa.
Benché non ci sia ancora la conoscenza completa della geologia di questa area, si ritiene che esistessero montagne che nel tempo degradarono in territori pressoché pianeggianti a causa di agenti meteorologici.
Successivamente l’area fu inondata da un mare poco profondo le cui creature, animali e vegetali, lasciarono sedimenti organici che stratificarono.
Nei millenni, l’acqua si ritirò e riallagò il territorio varie volte depositando limo, conchiglie e gusci che nel tempo si trasformarono in rocce sedimentarie per uno spessore complessivo valutato tra i 1500 ed i 3000 metri.
In epoca più recente, milioni di anni fa, tutto l’altopiano del Colorado s’innalzò sino all’altezza attuale.
Fino alla metà del 1900 ci si chiese quale disturbo geologico avesse potuto determinare questo fenomeno, poi si scoprì che la teoria della tettonica a zolle era la risposta che mancava.
La leggera pendenza dell’altopiano causò lo scorrimento di alcuni fiumi, fra cui il Colorado che iniziò l’erosione del suolo.
La presenza del fiume così com’è, però non basta a giustificare il modellamento di un canyon profondo fino a 1600 metri e largo anche 29 chilometri, nonostante alcuni fenomeni naturali amplifichino l’erosione.
D’estate, in un periodo di tempo piuttosto limitato e tipicamente nel mese di luglio, un fenomeno atmosferico, conosciuto col nome di Monsone Nordamericano, convoglia grandi quantità di aria umida dal golfo del Messico e dalla Bassa California che si trasformano in pioggia quando incontrano le montagne dello Utah e del Colorado.
Le poche ma intense piogge che cadono, causano il dilavamento della superficie e determinano un incremento di erosione a cui contribuisce anche la scarsità di vegetazione, perché l’altopiano è sostanzialmente un deserto.
Oltre a questi fenomeni bisogna considerare che, soprattutto in inverno, la temperatura è molto variabile: di fatto è possibile trovare la neve sul bordo del canyon e contemporaneamente, alla sua base situata circa un chilometro e mezzo più in basso, si possono raggiungere anche 30°.
In superficie, quindi, l’acqua entra nelle fenditure della roccia e gela contribuendo allo sgretolamento della roccia e quindi ad una maggiore erosione.
Nonostante tutto ciò non si riescono a giustificare la sua larghezza misurata in alcuni luoghi e la sua profondità.
Studi recenti hanno mostrato che sull’altopiano sono esistiti laghi di dimensioni enormi e che eruzioni vulcaniche, oltre alla morfologia del territorio, abbiano favorito la loro genesi a causa della formazione di sbarramenti naturali.
Quando il fiume riuscì ad erodere il materiale che fungeva da diga naturale, il bacino a monte si svuotò piuttosto velocemente causando enormi allagamenti nei territori a valle determinando un’erosione traumatica consistente, sia in larghezza che in profondità.
Questo fenomeno produsse anche delle rapide che, man mano il tempo passava, arretravano lungo il letto del fiume contribuendo a loro volta alla formazione di un’erosione più incisiva proseguita fino all’arrivo dei giorni nostri.
Ora sono qui, in piedi sul margine del Grand Canyon del Colorado ad ammirare il risultato di quello che immense forze della natura hanno compiuto.
Mentre contemplo il paesaggio, con l’aiuto della mente mi costruisco un film in cui rivedo la sequenza della genesi del Grand Canyon: le montagne che scompaiono lasciando il posto al mare che invade il terreno e si ritrae, le forze tettoniche che sollevano l’altopiano, i laghi, i vulcani, le inondazioni, il fiume con le sue cateratte che arretrano e l’erosione che causano, il rimodellamento della zona..
Quello che ho davanti agli occhi in questo momento è la fotografia di uno spettacolare territorio in costante evoluzione, anzi ciò che vedo è il fotogramma di un film che la capace regia della natura non ha ancora terminato di girare.