giovedì 12 aprile 2018

Una Ingegnere in famiglia.


Qual è lo sforzo che può compiere una persona come me nello scrivere una lettera di riconoscenza da dedicare alla propria figlia?
Nullo. Oppure, se proprio vogliamo quantificare un rapporto, penso di poterlo valutare in uno 0 virgola qualche zero, poi 1 % rispetto alla fatica che ha compiuto lei in questi anni per raggiungere il suo obiettivo.
Il motivo di questa precisazione numerica, cercando di centrare almeno l'ordine di grandezza, è dovuto al tentativo di trovare un po’ di coerenza rispetto al risultato da lei ottenuto: la Laura Magistrale in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Milano.
Per essere più corrispondente all’argomento, forse potrei usare, come metro di paragone, le dimensioni di singole cellule rispetto ad un organismo complesso preso nel suo insieme.
Singole cellule per le quali lei, in questi ultimi mesi, ingegnerizzava “microcontenitori”, sperimentando nuove geometrie per alloggiarle e farle crescere, utilizzando apparecchiature laser, dispositivi fotochimici e microscopio elettronico.
Ne parlo ora perché mi ha appena avvisato che conseguirà la Laurea ufficialmente il prossimo 19 aprile 2018, cioè esattamente fra una settimana.
Solo una manciata di minuti fa ha ottenuto l’approvazione della Tesi e, con essa, la certezza che in quella data ci sarà la discussione e la successiva proclamazione.
Congratulazioni Lara, sei la prima laureata in famiglia e questo tuo risultato è ancora più importante perché è solo merito tuo.
Nessuno ha potuto aiutarti in questi anni nella comprensione delle materie che hai dovuto studiare, sviscerare fino a farle tue nella loro essenza più profonda.
Hai frequentato lezioni che, per la maggior parte delle persone, trattano argomenti quasi impossibili.
Figuriamoci poi quando i corsi, anziché in Italiano, sono tenuti in Inglese.
Non m’importa in modo particolare del punteggio che otterrai, m’interessa invece che tu esca pienamente convinta, una volta in più, della persona speciale che sei e del fatto che raggiungere il traguardo di una Laurea Magistrale in Ingegneria Biomedica sia una meta ben più che considerevole.
Ingegneria per Cellule, Tessuti e Biotecnologie, questo il piano di studi sul quale hai lavorato e speso giorni e anche notti per anni.
Un proposito raggiunto che a sua volta è un’aspirazione verso nuove destinazioni, soprattutto nel mondo del lavoro.
Le tue conoscenze saranno una solida base verso nuove mire e sicuramente consentiranno nuove aperture del sapere, sia tuo che collettivo, che si concretizzeranno verso il consolidamento di protocolli e procedure biomediche già esistenti, nonché verso la scoperta di nuove possibilità terapeutiche.
Accetta le mie più sincere congratulazioni!
Mi resta solo da augurarti un buon futuro lavoro, tanta gioia e soddisfazioni, sia in esso che nella tua vita privata.
Il futuro è tuo, è lì fuori e ti sta aspettando con un sorriso.

mercoledì 28 marzo 2018

Avventure in elicottero

Inizio 


# 37

…Sì: oggi si va alla grande…
Stiamo facendo un “full immersion” del Grand Canyon del Colorado, l’abbiamo visto da due punti di vista diversi e un’esperienza aerea sarebbe il coronamento di una giornata memorabile.
Da bambino ricordo che seguivo una serie televisiva per ragazzi intitolata “Avventure in elicottero” che aveva come tema i salvataggi compiuti dai due protagonisti con un elicottero.
Le immagini dei luoghi visti dall’alto erano spesso iconografiche, figuriamoci quindi come potrebbe essere il Canyon visto dall’alto.
Il prezzo non è a buon mercato ma, come si dice, si vive una volta sola e allora mano al portafogli, o meglio alla carta di credito, ed eccoci in possesso dei tre biglietti.
Alcuni minuti di attesa, poi ci indirizzano alla vicina pista di atterraggio dove il pilota, coperto da cuffie e occhialoni, ci invita ad entrare.
Nonostante la divisa costituita da giacca bianca e pantaloni scuri, constatiamo essere una pilota.
Chissà come si diventa pilota di elicottero sul Grand Canyon.
In ogni caso, pochi istanti dopo, ciascuno è al proprio posto, la pilota si rimette le cuffie, smanetta la radio: sono curioso voglio capire a che frequenza trasmette e immagino che attenda le istruzioni di un controllore di volo o qualcosa del genere.
Invece no, sul display della radio compare la scritta “Linkin Park” anche se non ricordo quale canzone, altro che torre di controllo!
Mi viene un sorriso e l’elicottero è già in aria.
Gli ampi finestrini permettono a tutti di guardarsi attorno, forse anche troppo visto che appena il velivolo si inclina per accelerare e curvare hai l’impressione di rischiare una caduta verso l’esterno.
E’ chiaro che stabilità dell’elicottero non è lontanamente comparabile con quella di un Jet di linea.
Non è come salire sulle montagne russe, ma l’idea di una giostra in movimento quantifica abbastanza bene la prima impressione.
Nel frattempo il velivolo si è alzato di qualche decina di metri e sorvola il plateau del Colorado.
Da qui hai la conferma che si tratta di una pianura senza fine, o meglio di un altopiano, tagliata dalla presenza del fiume.
Alcuni istanti dopo raggiungiamo il bordo del Canyon a quota più bassa ricevendo così l’impressione di cadere nel burrone, ma invece, eccoci sospesi in aria proprio sopra il fiume.
E’ veramente uno spettacolo e ne vale davvero la pena!
Non ci perdiamo un attimo di ciò che vediamo, l’elicottero scende lentamente e intanto vola per un paio di chilometri sopra il letto del fiume mostrandoci la frastagliatura delle rocce che formano i canyon laterali.
Mentre viaggiamo osservo gli strati colorati stratificati delle rocce e ho l’impressione di entrare in un libro di storia, no forse di geologia, in ogni caso è qualcosa di memorabile.
Pochi minuti dopo il velivolo atterra su uno sterrato preparato allo scopo, scendiamo ringraziando la pilota e ci raggiunge un conducente di barca nel tour è previsto anche il percorso in motoscafo sul fiume.
Una scalinata in legno ci conduce al pontile e c’imbarchiamo con altre persone sul mezzo fuoribordo.
Nei pochi minuti di attesa constatiamo lo sbalzo termico.
Infatti mentre sul bordo del canyon avevamo leggermente caldo, qui in fondo, circa 1200 metri più in basso, l’aria è rovente ed il fenomeno è accentuato dalle pareti del canyon che riflettono il calore, aumentando ulteriormente la temperatura.

























Continua.


venerdì 23 febbraio 2018

Guano Point



# 36

Siamo davvero contenti di avere potuto assaporare questo scorcio sul Grand Canyon e un po’ a malincuore riprendiamo il pullman che ci condurrà in un altro luogo.
L’autista percorre una strada asfaltata lunga non più di un paio di chilometri e durante il tragitto percepiamo dai finestrini che il canyon è sempre più vicino da entrambi i lati.
In breve tempo arriviamo a destinazione in un luogo che si chiama Guano Point.
Sorrido all’idea del perché il luogo si possa chiamare così, ma non ne ho la certezza.
La acquisiamo successivamente quando una targa descrive la storia.
Negli anni ’30 un uomo, che percorreva il Canyon con la propria barca, individuò una grotta che successivamente si scoprì essere ricca di guano di pipistrello.
Questo materiale era molto ricco di composti azotati e, verso la fine degli anni ’50, si pensò di estrarlo e usarlo come fertilizzante.
Venne costruita una teleferica che da questo luogo scendeva fino alla grotta attraversando il canyon, con il duplice scopo di trasportare il materiale e gli operai addetti allo scavo.
L’estrazione di guano non durò a lungo perché ci si accorse che era stata sovrastimata di molto la quantità di materiale disponibile e i costi dell’attività, sommati alle spese di trasporto, non erano soddisfacenti.
Agli inizi degli anni ’60 venne chiusa e dopo alcuni mesi un aereo militare che volava a bassa quota nel canyon colpì e tranciò il cavo della teleferica.
La fune non fu più sostituita e venne abbandonata la stazione di testa della teleferica che oggi i turisti che visitano Guano Point possono ancora vedere.
Ora che abbiamo letto la targa, però non vediamo l’ora di visitare il luogo e così c’incamminiamo per un sentiero pianeggiante rossastro che via via si stringe fino ad una decina di metri circa.
Ciò che lo caratterizza è il fatto di non avere protezione agli estremi laterali che lo limitano dalle pareti a strapiombo del canyon.
Non è pericoloso, a patto di stare nel tracciato e poco più avanti il sentiero s’inerpica su una piccola altura di una trentina di metri a forma conica.
Visto che non mi sembra rischioso, decido di salire immaginando che sulla cima ci sarà uno spettacolo superbo.
L’entusiasmo mi fa aumentare l’andatura e, quando raggiungo la sommità, una quantità di emozioni mi aggroviglia il cuore che già batte in modo accelerato per lo sforzo.
La vetta è costituita da un piccolo insieme di rocce sulle quali giro su me stesso a 360 gradi per ammirare tutto attorno.
Vedo il percorso appena compiuto, il luogo dove siamo scesi dal pullman, lo strapiombo attorno al sentiero e soprattutto vedo il Gran Canyon del Colorado in lunghezza e in profondità.
Se poco fa, a Eagle Point, eravamo rimasti meravigliati dalla veduta, qui a Guano Point facciamo fatica a capacitarci del panorama immenso che questo luogo ci offre.
Penso che sia una delle meraviglie più spettacolari della natura.
Ti senti piccolo di fronte al mondo, proprio come quando, dopo molta fatica, raggiungi la cima di una montagna e ti guardi attorno.
Lo spazio immenso che ti circonda ed il suono del silenzio ti stordiscono ma, almeno in parte, riesci a capacitarti di quanto sia esteso il creato.
Forse anche gli astronauti quando guardano fuori dagli oblò della loro navicella provano la stessa sensazione, probabilmente ancora più intensamente, ma ciò che ammiro ora da qui è qualcosa che ti entra nello spirito e sono sicuro che non lo dimenticherò mai.
Dopo alcune riflessioni mi giro tutt’attorno e comincio a scattare fotografie.
Poco sotto questa cima, sul lato opposto del sentiero che ho percorso e proprio a ridosso del fiume Colorado che scorre circa 1200 metri più in basso, vedo i resti della teleferica, anch’essa meta delle curiosità dei turisti.
Vorrei fermarmi qui, stare seduto per delle ore per sentirmi parte integrante di questo ambiente, ma la mia esperienza deve proseguire e, sebbene un po’ controvoglia, scendo da questo luogo per tornare dove il bus verrà a prenderci.
Ripercorriamo la strada fino ad Eagle Point dove, sotto una tensostruttura, un gruppo di nativi Hualapai vestiti con i loro migliori abiti tradizionali esegue delle danze folcloristiche.
Non nego che i balli e l’abbigliamento indossato siano originali, piacevoli e accattivanti, ma rispetto alle bellezze della natura ammirate fino a poco fa, tutto questo sembra fatto ad arte per cercare di ammagliare ulteriormente i turisti; insomma qui è il fiume Colorado con il suo Canyon che la fanno da padroni e tutto il resto è almeno di due ordini di grandezza inferiore.
Il tempo passa e un altro pullman ci conduce nei dintorni del parcheggio per l’auto.
Sono le 15.30, non è molto tardi anche se dobbiamo percorrere 250 km per rientrare.
Il Grand Canyon ci ha conquistati, ci sarebbe un’altra bella esperienza da fare, siamo dubbiosi e poi decidiamo: oggi si va alla grande…
























venerdì 2 febbraio 2018

Il Grand Canyon del Colorado



# 35

Quando ti affacci sul bordo del Grand Canyon, quello che vedi è un profondo e gigantesco baratro scavato dal fiume Colorado inserito in una sconfinata, selvaggia e desertica pianura.
Non percepisci alcun suono, se non raramente quello di qualche specie di uccello che dall’alto scruta il suolo alla ricerca di possibili prede, oppure quello del vento che arriva alle orecchie quasi come un’eco.
Questa è la situazione attuale, apparentemente statica come l’esistenza delle montagne, eppure questa meravigliosa opera della natura esiste perché hanno contribuito alla sua realizzazione forze immense, violente ed estreme come glaciazioni, vulcani, movimenti  tettonici causati dalla deriva dei continenti, un punto caldo nel sottosuolo e poi ancora fenomeni meteorologici inusuali e un’energica erosione del suolo.
Per gli scienziati, studiare il Grand Canyon è un’occasione per vedere a cielo aperto la storia geologica del nostro pianeta perché le sue pareti espongono molti strati di sedimenti.
Fra i primi uomini moderni a rendersene conto ci fu John Powell che, verso il 1870, esplorò con successo il percorso del fiume all’interno del canyon e definì i suoi pendii come pagine di un grande libro di storia.
L’origine della pianura dentro cui è scavato il canyon risale all’età delle rocce più antiche che in alcuni punti affiorano in superficie ed è stimata in oltre 1 miliardo e mezzo di anni fa.
Benché non ci sia ancora la conoscenza completa della geologia di questa area, si ritiene che esistessero montagne che nel tempo degradarono in territori pressoché pianeggianti a causa di agenti meteorologici.
Successivamente l’area fu inondata da un mare poco profondo le cui creature, animali e vegetali, lasciarono sedimenti organici che stratificarono.
Nei millenni, l’acqua si ritirò e riallagò il territorio varie volte depositando limo, conchiglie e gusci che nel tempo si trasformarono in rocce sedimentarie per uno spessore complessivo valutato tra i 1500 ed i 3000 metri.
In epoca più recente, milioni di anni fa, tutto l’altopiano del Colorado s’innalzò sino all’altezza attuale.
Fino alla metà del 1900 ci si chiese quale disturbo geologico avesse potuto determinare questo fenomeno, poi si scoprì che la teoria della tettonica a zolle era la risposta che mancava.
La leggera pendenza dell’altopiano causò lo scorrimento di alcuni fiumi, fra cui il Colorado che iniziò l’erosione del suolo.
La presenza del fiume così com’è, però non basta a giustificare il modellamento di un canyon profondo fino a 1600 metri e largo anche 29 chilometri, nonostante alcuni fenomeni naturali amplifichino l’erosione.
D’estate, in un periodo di tempo piuttosto limitato e tipicamente nel mese di luglio, un fenomeno atmosferico, conosciuto col nome di Monsone Nordamericano, convoglia grandi quantità di aria umida dal golfo del Messico e dalla Bassa California che si trasformano in pioggia quando incontrano le montagne dello Utah e del Colorado.
Le poche ma intense piogge che cadono, causano il dilavamento della superficie e determinano un incremento di erosione a cui contribuisce anche la scarsità di vegetazione, perché l’altopiano è sostanzialmente un deserto.
Oltre a questi fenomeni bisogna considerare che, soprattutto in inverno, la temperatura è molto variabile: di fatto è possibile trovare la neve sul bordo del canyon e contemporaneamente, alla sua base situata circa un chilometro e mezzo più in basso, si possono raggiungere anche 30°.
In superficie, quindi, l’acqua entra nelle fenditure della roccia e gela contribuendo allo sgretolamento della roccia e quindi ad una maggiore erosione.
Nonostante tutto ciò non si riescono a giustificare la sua larghezza misurata in alcuni luoghi e la sua profondità.
Studi recenti hanno mostrato che sull’altopiano sono esistiti laghi di dimensioni enormi e che eruzioni vulcaniche, oltre alla morfologia del territorio, abbiano favorito la loro genesi a causa della formazione di sbarramenti naturali.
Quando il fiume riuscì ad erodere il materiale che fungeva da diga naturale, il bacino a monte si svuotò piuttosto velocemente causando enormi allagamenti nei territori a valle determinando un’erosione traumatica consistente, sia in larghezza che in profondità.
Questo fenomeno produsse anche delle rapide che, man mano il tempo passava, arretravano lungo il letto del fiume contribuendo a loro volta alla formazione di un’erosione più incisiva proseguita fino all’arrivo dei giorni nostri.
Ora sono qui, in piedi sul margine del Grand Canyon del Colorado ad ammirare il risultato di quello che immense forze della natura hanno compiuto.
Mentre contemplo il paesaggio, con l’aiuto della mente mi costruisco un film in cui rivedo la sequenza della genesi del Grand Canyon: le montagne che scompaiono lasciando il posto al mare che invade il terreno e si ritrae, le forze tettoniche che sollevano l’altopiano, i laghi, i vulcani, le inondazioni, il fiume con le sue cateratte che arretrano e l’erosione che causano, il rimodellamento della zona..
Quello che ho davanti agli occhi in questo momento è la fotografia di uno spettacolare territorio in costante evoluzione, anzi ciò che vedo è il fotogramma di un film che la capace regia della natura non ha ancora terminato di girare.