venerdì 29 gennaio 2016

Las Vegas - Storia




# 22 

Las Vegas fu ufficialmente fondata nel 1905, anche se i pionieri Mormoni costruirono qui un forte attorno al 1850 che fu il primo nucleo moderno da cui partì la crescita.
Trovandosi nel bel mezzo del deserto del Mojave, i limiti dell’espansione non dipendevano dallo spazio disponibile, praticamente sconfinato, quanto dalle risorse idriche ed energetiche.
Terminata la grande depressione del 1929, il primo sviluppo avvenne quando fu legalizzato il gioco d’azzardo nel 1931.
I molti operai che lavoravano al progetto della “Hoover Dam” potevano venire qui a spendere e a giocare grandi quantità di soldi senza contravvenire ad alcuna legge.
Fumo, alcool, donne e gioco d’azzardo furono un richiamo potente, ulteriormente amplificato e mitizzato dal passaparola.
Finita la costruzione della diga aumentò la disponibilità di acqua e di energia; ciononostante attorno al 1940 la città contava circa 8000 abitanti e la vita si svolgeva nel suo centro, attorno a Fremont Street.
Naturalmente, circolando parecchi soldi crebbe l’interesse della malavita organizzata e, nel 1945, l’organizzazione mafiosa delle “Famiglie della East Coast” finanziò un criminale dell’epoca, Bugsy Siegel, per la costruzione dell’hotel-casinò Flamingo, col fine di controllare il gioco d’azzardo.
I costi della realizzazione però lievitarono, anche perchè parte dei fondi fu sottratta da Siegel e dalla sua amante; per questa ragione la “Commissione” (organo con poteri decisionali di Cosa Nostra Americana) decretò la sua morte che avvenne nel 1947 per mano di un killer.
Questo episodio fu importante per lo sviluppo dell’attuale Las Vegas perché il Flamingo fu tra i primi hotel ad essere delocalizzato verso la periferia, pochi chilometri a sud e, nonostante i rifacimenti, è il più vecchio fra quelli oggi esistenti.
A questa città intanto era stato conferito l’appellativo di Sin City, (Città del Peccato o Città del Vizio).
Il nomignolo non era immotivato ma, anziché scoraggiare l’arrivo di gente, contribuì anch’esso a pubblicizzare il luogo.
Chi veniva qui per giocare, bere, fare affari ed altro lo faceva con una certa ostentazione, era diventato uno status symbol, la dimostrazione di detenere lusso, mezzi e potere.
Negli anni ’50 divenne un punto di riferimento dello spettacolo grazie alla presenza di celebrità come Frank Sinatra, Dean Martin, Sammy Davis jr.
Poi seguì un primo tentativo di rifacimento dell’immagine, all’iniziò negli anni ’60, quando si cercò di sostituire il termine “gioco d’azzardo” (gambling) con “attività di gioco” (gaming).
Lo scopo era quello di ripulire il volto della città, di toglierle quella nomea associata al malaffare e al vizio che aveva.
Sempre in questo periodo l’area più a sud della città, che comprende anche la località di Paradise e dove era stato costruito l’hotel-casinò Flamingo, cominciò a fare concorrenza al vecchio centro storico.



La zona era collegata a Fremont street per mezzo di un viale lungo alcuni chilometri. (Las Vegas Blv)
Qui, disponendo di maggiore nuovo spazio, era più facile edificare costruzioni più grandi partendo da zero, con criteri più moderni: stava nascendo la Strip, (si dice anche lo Strip) quella striscia di territorio che oggi in pratica è ciò a cui si pensa quando si parla di Las Vegas.
All’idea che si potesse dare un nuovo look alla città, credette in modo particolare il magnate americano Steve Wynn, già figlio di un gestore di locali dove si giocava il Bingo, che a sua volta divenne possessore di quote di locali e proprietario di immobili a Las vegas.
Qui si era trasferito alla fine degli anni ’60 con la famiglia ed era talmente convinto che l’idea di rinnovo potesse prendere corpo, al punto che affermò che presto la Città del Peccato sarebbe diventata un luogo di vacanza per famiglie.
Naturalmente non fu l’unico a costruire a Las Vegas, ma Wynn, alla fine degli anni’80, ottenne finanziamenti immensi attraverso l’emissione di titoli ad alto rischio per l’investitore (junk bonds o titoli spazzatura, come si direbbe oggi) per costruire l’hotel-casinò Mirage, denaro che sperava di restituire in alcuni anni.
In realtà l’azzardo si rivelò un affare colossale e bastò un anno e mezzo per ripagare i creditori tanto il progetto ebbe successo, poi, su quella scia, negli anni successivi venne costruito il Bellagio, ispirato alla omonima splendida cittadina situata nel mezzo del lago di Como.
Da allora la città è cresciuta a dismisura e oggi conta più di 500mila abitanti, che diventano più di 2 milioni se si considera l’area metropolitana.
Se è vero che da cosa nasce cosa, qui, dove tutto è più estremizzato, il concetto vale più che mai: aumento di popolazione, opportunità di lavoro, ma anche facilità a ritrovarsi senza denaro, soprattutto se lo si gioca irresponsabilmente.
Che Las Vegas si sia trasformata in un luogo di vacanza per famiglie, come ipotizzato da Steve Wynn, è un dato di fatto, diversamente non si potrebbe spiegare il record di turisti del 2012 con una presenza maggiore di 40 milioni di visitatori.
Il periodo di crisi, avvenuto dopo il 2008, ha causato recessione anche qui, soprattutto in termini di perdita di posti di lavoro che, nel Nevada, in pochi anni, hanno determinato un tasso di disoccupazione passato da meno del 5% a più del 13%, anche se ora (2016) il peggio è passato e i posti sono stati quasi tutti riassorbiti.
Infatti Las Vegas non è solo una città in cui divertirsi, ma è anche un luogo dove si può trovare facilmente un lavoro nell’ambito dei servizi, proprio per la massiccia presenza di turisti, un’opportunità dove si può inseguire ancora il sogno americano.



  

venerdì 15 gennaio 2016

Da Hollywood a Las Vegas - 2


# 21

La macchina avanzava relativamente lenta rispetto al paesaggio esterno che apparentemente era immutabile.
Avevamo acceso l’autoradio e la musica ci aiutava a far trascorrere il tempo che sembrava persino rallentato.
Ad un tratto iniziò un nuovo brano: Si-, Fa#, La …
Mi fu sufficiente l’arpeggio di chitarra sui primi due accordi per riconoscere “Hotel California” degli Eagles.
“ Su un’autostrada buia e deserta …”, recitava la canzone e intanto incrociai le dita sperando di giungere al traguardo ben prima che facesse buio.
Non mi entusiasmava affatto l’idea che potesse capitare di trovarci in difficoltà, con l’auto guasta in autostrada, con lo scuro mentre stavamo attraversando il deserto del Mojave.
Al di là del testo, poi il mio pensiero si focalizzò sulla musica che mi sembrava la colonna sonora perfetta per questa parte di viaggio.
Il suo fraseggio musicale così ampio e ripetitivo, ma mai monotono, anzi ben articolato, si addiceva perfettamente alle caratteristiche della strada che stavamo percorrendo e del panorama che ci circondava.
Dopo qualche minuto, il superbo primo piano acustico di chitarra elettrica degli Eagles condusse la musica al termine e un po’ anche i miei pensieri più ansiosi, rassicurandomi sul fatto che non avremmo incontrato l’Hotel California.
Del resto tutto stava procedendo secondo i piani e il deserto attorno a noi non faceva poi così paura.


Visto dall’interno del veicolo, si presentava come una distesa di ghiaia e sabbia ricca di vegetazione diradata, principalmente sottoforma di arbusti bassi e talvolta rinsecchiti che permettevano una visuale di molti chilometri in ogni direzione, anche a causa del basso grado di umidità presente nell’aria.
(Quegli arbusti bassi che si vedono spesso anche nei film western, i Rotolacampo o Tumbleweed, sono quelli che, quando sono secchi e maturi, si staccano dalle radici e il vento fa rotolare in grande quantità, anche per chilometri, permettendo loro di rilasciare i semi durante il percorso.
In questo modo la pianta è in grado di riprodursi, ma il loro accumulo ed il transito veloce sulle strade causa seri problemi di traffico.)
Raramente qualche nuvola copriva momentaneamente il sole, l’aria bollente di tanto in tanto causava quelli che vengono chiamati i “Dust Devil”, ovvero dei polveroni di sabbia a sviluppo verticale che si sollevavano dal suolo roteando su se stessi, dei piccoli tornado che si formano a partire dal basso, solitamente innocui.


Più tardi un cartello indicò l’uscita per un ex centro di sorgenti minerali e ora Centro Studi del Deserto: era invisibile dalla strada e del resto anche il suo nome, Zzyzx, sembrava garantire l’anonimato e l’incognita, eheh (si fa fatica a credere che esista un posto con questo nome, eh? Provate a cercarlo!)
Un’altra cosa panoramicamente interessante fu vedere che, ad un certo punto e percorsa un’ampia curva, l’autostrada a doppia carreggiata scendeva a pendenza costante, non in modo ripido, ma progressivo lungo un percorso perfettamente dritto.
Al termine della discesa c’era un’interminabile salita.
D’istinto presi subito nota del chilometraggio e chiesi di scattare una foto.


La discesa sembrava non terminare mai al punto che mi veniva voglia di accelerare un po’ perché sembrava che fossimo fermi.
Raggiunto il fondo incrociammo la parte terminale di una vallata tanto ampia quanto arida: era l’estremità sud della Valle della Morte; un nome, un programma, però l’idea di una visita, anche se non approfondita mi stuzzicava parecchio.
Terminata la risalita ricontrollai il contachilometri: indicava che avevamo percorso oltre 12 miglia, circa 20 chilometri, in più di 10 minuti.
Non avevo mai percorso un rettilineo così lungo formato solo da una discesa ed una salita per di più a pendenza costante.
Il viaggio proseguì tranquillo finchè raggiungemmo il confine di stato tra California e Nevada in località Primm.
Nulla di che, ancora il deserto, un cartello di segnaletica e poi un paio di gigantesche costruzioni che dovevano essere hotel con casinò, (mi sembrava improbabile che qualcuno volesse alloggiare proprio lì) e un gigantesco ottovolante che circondava un albergo!


Veramente assurdo.
Intanto avevamo percorso più di 400 chilometri e la meta si avvicinava, la densità delle costruzioni aumentò e finalmente arrivammo.
Las Vegas sarebbe stata una meta importante di questo viaggio non solo per la visita della città, ma anche per vedere ciò che la circondava.