A volte
viene definito uno sport estremo, ma cosa c’è più di sicuro di essere
agganciati ad un paracadute, percorrere una piccola corsa e alzarsi in aria
partendo da terra grazie al traino di un motoscafo?
Credo che
andare in bicicletta o in moto si corrano dei rischi maggiori eppure non è
sempre così.
Leggevo lo
scorso 13 luglio di un pensionato 71 enne australiano che ha provato per la
prima volta approcciarsi con questo sport in Thailandia. Nel filmato si vede
“l’istruttore” che lo veste con giubbotto salvagente e imbracatura, poi
l’imbarcazione parte e i due, in pochi metri, si alzano dalla spiaggia verso il
mare.
Non mi è
chiaro se “l’istruttore” volesse salire anche lui, (così sembrerebbe dalle
immagini) o se gli sia capitato suo malgrado.
Fatto sta
che nel breve filmato si vede che i due uomini, sempre più in lontananza,
salgono in alto molto in fretta.
Poi succede
qualcosa, l”istruttore” sembra scavalcare l’imbracatura, per pochi istanti lo
sportivo resta appeso malamente e infine precipita da una trentina di metri dentro
l’acqua, ma forse su un basso fondale, trovando la morte.
Non è
consolatorio sapere che “istruttore” e motoscafista siano stati arrestati né
che si sia trattato di un errore nel fissaggio dell’imbracatura.
Certo è che
cadere anche solo in acqua da una trentina di metri può essere mortale perché
l’impatto avviene a più di 90 km/h e se non si cade più che in maniera
perfetta, le conseguenze possono essere tragiche.
Ne sanno
qualcosa i tuffatori estremi da scogliera, che pur allenati e capaci,
raccontano che l’impatto con l’acqua da 27-30 metri non è mai piacevole.
Nella
migliore delle ipotesi e cadendo nell’unico modo per non farsi male davvero
cioè in piedi, assicurano che ti viene la sindrome del pinguino e cioè che
quando esci dall’acqua i piedi ti fanno malissimo e quasi non cammini.
Se non entri
in acqua perfettamente verticale è facile prendersi un violento colpo sotto al
mento, figuriamoci con angoli anche leggermente diversi dalla posizione
verticale.
L’articolo
che ha raccontato l’episodio di quel bagnante australiano mi ha molto
suggestionato perché mi ha fatto tornare a mente quella volta che, molti anni
fa, provai anch’io l’esperienza del paracadutismo ascensionale, o parasailing.
Ero in
vacanza in Corsica e mi divertiva l’idea di provare questo sport che ti
permetteva di “volare” sul mare in tutta sicurezza a qualche decina di metri di
altezza.
La
preoccupazione più grande riguardava un eventuale sgancio della fune di traino
ma, mi dicevo, su mai succedesse il paracadute mi accompagnerebbe dolcemente in
acqua.
Così ruppi
gli indugi e contattai il team del parapendio.
Mi chiesero
se sapevo nuotare e mi dissero di stare tranquillo nonostante si stesse alzando
un po’ il vento ed il mare cominciasse ad aumentare il moto ondoso.
Mi fecero
indossare l’imbracatura e il giubbotto di salvataggio.
Legata al
polso, posta fra il giubbotto ed il mio petto, fui autorizzato a tenere una
piccola macchina fotografica subacquea che, se fossi riuscito, avrei estratto
in volo per qualche foto ricordo.
Il motoscafo
per il traino era in acqua e io sulla spiaggia; mi spiegarono che al momento
del via io avrei dovuto cercare di resistere il più possibile alla forza di
traino del motoscafo affinché la mia accelerazione, durante i pochi metri di
spiaggia percorsi verso le onde, fosse massimizzata.
Questa la
teoria, poi si passò alla pratica.
Mi fecero
arretrare per tenere la fune in tensione il più possibile mentre due addetti
tenevano il paracadute già aperto e gonfio.
L’istruttore,
munito di walkie-talkie, comunicò l’ok allo scafista che diede i motori al
massimo.
Cercai di
resistere, ma fui subito strattonato in avanti e mi misi a correre.
Non percorsi
più di 5 o 6 metri che già ero in aria e salivo veramente molto in fretta.
Dopo meno di
un minuto la situazione era già ampiamente stabilizzata e così decisi di
afferrare la mia macchina fotografica per uno scatto ricordo.
Non fu
proprio un’operazione facile perché dovetti staccare una mano dal manubrio
dell’imbracatura, naturalmente non correvo alcun rischio di cadere perché in
quella situazione sei appeso al paracadute e la tenuta con le mani serve solo
per essere stabili, poi dovetti estrarre la macchina fotografica e scattare una
foto un po’ alla “bell’e meglio” senza riuscire troppo a guardare nel mirino.
Tutto OK, mi
stavo divertendo un casino, guardavo il motoscafo, piccolo laggiù, l’orizzonte,
la spiaggia, insomma ne valeva davvero la pena.
Poi, come
programmato, mi fecero scendere di quota rallentando il motoscafo.
Il gioco prevede che ti facciano scendere
lentamente fino a toccare l’acqua con le gambe mantenendo però il paracadute
gonfio, poi, grazie ad una nuova forte accelerazione del motoscafo, ti
risollevano e torni a volare.
Questa la
teoria, ma la pratica andò un po’ diversamente.
Come dicevo,
il motoscafo rallentò, raggiunsi lentamente il mare le cui onde, all’esterno
dell’immediato profilo della costa, erano già abbastanza alte.
Le gambe si
immersero, il bacino anche e ricordo che mi preoccupai, voltandomi, che il
paracadute fosse ancora gonfio.
Ero in
apprensione perché il motoscafo non si decideva a ripartire e l’acqua saliva.
Poi
finalmente accelerò, ma ormai era tardi perché un’onda bagnò il paracadute che
si afflosciò e così mi ritrovai completamente sott’acqua con i motori del
motoscafo al massimo che mi strattonavano violentemente e mi impedivano di
riemergere.
Questa
situazione durò molti secondi, veramente interminabili, duranti i quali sentivo
male in varie parti del corpo a causa dell’enorme resistenza all’acqua creata
sul mio corpo dalla trazione del potente motoscafo.
Oltretutto,
poiché l’aggancio dell’imbracatura alla fune di traino era all’altezza del
petto, percepivo che durante il traino mi capovolgevo ruotando lateralmente.
Mi ricordo
come fosse ora che pensai: ”Maurizio tieni il fiato più che puoi e non farti
prendere dal panico perché si accorgeranno in fretta di quello che sta
succedendo.”
Infatti così
avvenne, sentii allentare la pressione dell’acqua ed emersi facilmente,
stordito ma cosciente.
Sentii
rumore di motori e vidi il mio motoscafo terminare di curvare e avvicinarsi per
soccorrermi.
Alzai un
braccio per far capire che ero cosciente e intanto vidi un altro motoscafo
velocissimo che, seppur ancora lontano, si stava avvicinando a tutto gas
puntandomi.
Ricordo che
mi dissi: “ Accidenti sono ancora tutto intero, ora ci mancherebbe solo di
essere travolto da questo.”
Pochi
istanti dopo compresi che si trattava del guardiacoste che, avendo assistito da
riva a quello che era successo, si era tempestivamente lanciato in un’operazione
di soccorso, forse preallertato dal fatto che il mare in pochi minuti era diventato
burrascoso.
Notai che
erano tutti sollevati quando capirono che non avevo subìto conseguenze, fui
aiutato a salire sul motoscafo, mi chiesero come stavo, se volevo andare
all’ospedale.
Il mio
scafista si scusò un sacco di volte e vidi che il guardiacoste lo ammonì.
Sbarcai a
riva dove si era già formata una piccola folla.
Quando mi
tolsero l’imbracatura mi spiegai il perché dei dolori.
Si stavano
formando dei grossi ematomi alle ascelle e all’inguine che mi causarono postumi
per il resto della vacanza, ma non m’impedirono di continuare il nostro giro in
moto in Corsica.http://video.corriere.it/pensionato-prova-parapendio-la-prima-volta-ma-l-avventura-finisce-tragedia/4dd05ffe-6797-11e7-b139-307c48369751