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…Sopravvivere non è un termine esagerato se si considera che in quell’area d’estate si superano abbondantemente i 40 gradi (reali, non percepiti) e, per quanto concerne il lavoro, va considerato che non esistevano i sistemi di sicurezza attuali, infatti dalla fase di progetto fino alla realizzazione ultimata vennero contate 112 vittime.
Sulla pericolosità dell’attività si pensi ad esempio che i ripidi pendii del Black Canyon, dentro i quali scorreva il Colorado, dovettero essere preparati per supportare le pareti della diga.
A questo scopo una tipologia di operai, gli “high scalers”, (scalatori di quota) si calavano con delle funi lungo le pareti della gola, praticavano dei fori dove veniva inserita e fatta brillare la dinamite; lo scopo era di togliere le pietre pericolanti e mettere a nudo la roccia viva che costituiva il canyon.
All’inizio i dispositivi di protezione individuale erano assenti o, al meglio, consistevano in cappelli di feltro irrigiditi con la pece e solo successivamente venne introdotto l’uso di caschetti protettivi che comunque non erano sufficienti a riparare adeguatamente i lavoratori dai sassi in caduta.
Grazie a questo lavoro, la diga avrebbe avuto maggiore stabilità in funzione del fatto che la spinta, esercitata dall’acqua nel bacino a monte, sarebbe stata scaricata sulla roccia consolidata.
Fra i numerosi problemi che dovettero essere affrontati, ci fu anche la deviazione provvisoria del Colorado, che venne canalizzato per mezzo di 4 gallerie, in modo da lasciare provvisoriamente all’asciutto il letto del fiume.
Da qui incominciò l’erezione della diga vera e propria: il progetto prevedeva che fosse di tipo ad arco-gravità.
Questo criterio sfruttava il peso della costruzione stessa per renderla stabile sul terreno e la capacità di un arco convesso di potersi comprimere e scaricare sulle pareti delle montagne la pressione idrostatica esercitata dal lago.
Vista di profilo e all’asciutto, doveva assomigliare ad una specie di piramide, molto larga alla base, che si rastremava verso l’alto, generando però un allungamento ad arco sull’asse trasversale.
Un altro problema complesso da risolvere derivò dalla gestione dei più di 3 milioni di metri cubi di calcestruzzo necessario alla realizzazione.
Se da una parte la cifra in sé parla da sola, dall’altra nasconde il problema delle proprietà idrauliche del cemento.
Durante l’indurimento del calcestruzzo, il cemento che lo costituisce è soggetto a reazioni chimiche di idratazione che sviluppano calore.
Senza entrare troppo nei dettagli, (altrimenti si vedano i link riportati) nelle normali situazioni quotidiane ed ambientali, queste reazioni si ritengono esaurite in circa 28 giorni ed il materiale è pronto per ricevere il carico prefissato, ma qui molti parametri non erano consueti.
Si sa che il calcestruzzo è un cattivo conduttore di energia termica per cui, maggiore è il suo volume, maggiore è la difficoltà ad espellere il calore generato dalle reazioni chimiche e ancora, se la temperatura dell’aria circostante è alta, la dispersione avverrà più lentamente.
Gli ingegneri progettisti calcolarono che, in quel luogo e con quelle temperature, se la diga fosse stata costruita con una sola gigantesca gettata di calcestruzzo, ammesso che fosse possibile, ci sarebbero voluti più di 100 anni prima che il composto si stabilizzasse.
Peggio ancora, la “maturazione” esterna sarebbe stata più rapida di quella interna e questo avrebbe causato tensioni dentro al materiale, con rischi di crepe o rotture nel cuore della diga stessa.
Il problema fu risolto impastando il calcestruzzo con acqua fredda e facendo delle gettate in apposite casseforme, di non più di 15 metri di lato e di 1,5 di altezza, sul cui fondo venivano posati dei tubi dentro ai quali scorreva acqua refrigerata da appositi frigoriferi.
Al termine dell’indurimento la serpentina veniva sigillata e usata come armatura.
Con questo metodo si innalzarono 221 metri di diga dal 1931 al 1935, in anticipo di due anni sui tempi di consegna.