Ieri incontro una conoscente e, scambiando qualche parola, mi racconta di avere alcuni problemi di comunicazione con la figlia adolescente.
Secondo lei questo deriva dalla troppa differenza d’età, circa 40 anni, che intercorre fra loro.
Passa un po’ di tempo e incontro un altro conoscente sulla settantina accompagnato da uno dei nipoti, adolescente anche lui che, ad un certo punto del colloquio, redarguisce il nonno in modo simpatico, chiedendogli perché si autodefinisce vecchio.
In realtà questo uomo si lamenta solo un po’ del fatto che fatica a mantenere una linea asciutta e che in bicicletta, ultimamente, non ha sempre voglia di percorrere decine di chilometri come un po’ di tempo fa.
Ecco qua la riflessione in agguato che mi entra in testa considerando i due episodi che sono svincolati fra loro: il salto generazionale.
Il divario generazionale è sempre esistito, modi diversi di pensare, di agire, di credo, di ideologia, di obiettivi, di essere più o meno combattivi o rassegnati, atteggiamenti e comportamenti nei confronti della vita e delle conoscenze spesso dettati dall’impressione di avere più o meno forza, nella “certezza” delle proprie ragioni.
Penso a quando ero ragazzo io, a quando si pensava che i 40/50enni fossero quasi dei sopravissuti agli eventi, un’età così lontana, un futuro così remoto quasi da non prenderlo in considerazione, eppure le esperienze altrui ci insegnavano che quell’età sarebbe giunta piuttosto in fretta e quindi era necessario costruire la propria vita giorno dopo giorno.
Nelle generazioni precedenti alla mia il salto generazionale era ancora peggio.
In mezzo c’erano anche motivi di guerra vissuta, insieme alla fame, a tanta povertà e ignoranza.
Non molto spesso i nipoti potevano conoscere i loro nonni e quando succedeva avevano a fare con persone abbruttite dall’asprezza della vita e della salute.
Torniamo a noi, a oggi.
La distanza anagrafica media tra una generazione e l’altra è aumentata, il mondo non è mai stato così dinamico come ora.
E’ esperienza comune, o facilmente appresa, che da qualche decennio l’evoluzione è sempre più rapida.
Solo considerando queste due ultime affermazioni, oltre alla situazione pregressa, dovremmo concludere che la differenza di pensiero tra i giovani ed i meno giovani dovrebbe essere molto più accentuata, dovrebbe esserci in mezzo un solco invalicabile nella comprensione reciproca, invece secondo me oggi avviene l’esatto opposto.
Ci sono mamme che escono con le figlie, che le accompagnano allo shopping o in palestra, ma non perché vogliono sostituirsi alle loro amicizie o “controllarle”, ma perché il ruolo di mamma non è necessariamente in conflitto con quello di amica (naturalmente il ruolo primario non deve essere snaturato).
Ci sono papà che fanno sport con i loro figli, vanno in bicicletta o giocano a calcio con loro, sciano insieme.
Immagino già una critica a queste affermazioni: “Lo fanno per dimostrare a se stessi di essere ancora giovani e competitivi come un ragazzo; hanno paura di invecchiare”
Io penso che non ci sia nulla di male nel cercare di mantenersi giovani, attivi ed efficienti, ci è stato dato questo corpo e solo questo, che male c’è nel tenerlo efficiente, pulito, in ordine e funzionante?
Non credo negli eccessi della chirurgia estetica, ma sono felice che esistano una medicina e una chirurgia “funzionale” sempre più rispettose delle persone, capaci di guarirci il più possibile dalle malattie.
In questo mondo, nel 2015, vivono insieme almeno tre generazioni e questo non è mai successo a memoria d’uomo.
Non mi sembra solo un record, ma anche una conquista sociale.
Nonni (e talvolta bisnonni) capaci di dare una mano ai propri figli e nipoti simultaneamente in uno scambio simbiotico di esperienze, idee, innovazione, talenti, sono un fatto culturale e comportamentale nuovo, una ricchezza per tutta l’umanità e anche un mezzo per colmare la distanza generazionale, per generare nuova comprensione e soprattutto rispetto reciproco.